Il cibo non è solo da oggi un elemento di convivialità e condivisione. La condivisione di un pasto, l’aggregazione intorno a un tavolo, per esempio, è ormai una pratica comune negli appuntamenti di lavoro o nelle riunioni confidenziali. Il cibo ci unisce, e il collegamento è la comunicazione. Ma non solo. Il rapporto che tutti abbiamo con il cibo è legato dalla nascita alle esperienze affettive delle prime relazioni significative: dall’allattamento, allo svezzamento ed a tutte le esperienze emozionali che condizionano queste esperienze. I pasti sono un punto di riferimento importante, segnano i ritmi della nostra giornata e, se ben pensiamo, ogni evento importante della nostra vita sembra essere accompagnato da banchetti di cibo attraverso i quali “ci” condividiamo e “ci” celebriamo.
Il cibo è vita e, indubbiamente, ci dà nutrimento e piacere. Parliamo di cibo fin dai tempi antichi. Perché ci soddisfa, ci rilassa, ci distrae, ci consola e ci riempie di vuoti, ci avvicina alle persone e ai ricordi. Il suo potere emotivo, sociale e psicologico rappresenta per molti il sostituto scelto per i bisogni insoddisfatti. Apri il frigorifero in cerca di consolazione, ed è il modo più semplice per contrastare ansia, frustrazione, stress e tensione. Dopo tutto, fin da piccoli siamo abituati a ricevere cibo come compenso o ricompensa. O no? La storia della filosofia è piena, ovunque, di considerazione sul cibo, le bevande, gli oggetti e la cucina. Quando nasciamo, impariamo a conoscere il mondo, prima di tutto attraverso la bocca; il contatto fisico, le coccole e la gratificazione che il bambino riceve mentre viene nutrito, sviluppa un’associazione tra amore, nutrimento e alimentazione. Se la crescita procede normalmente, le esperienze del
bambino si espandono per diventare parte di una vasta gamma di attività sensoriali gratificanti; se, d’altra parte, l’ambiente è meno favorevole, il bambino può crescere incapace di crescere altre fonti di gratificazione e, da adulto, è più probabile che si avvicini al cibo come se fosse la fonte primaria o unica di sostegno emotivo. Infatti , nessuno di noi “mangia” solo sostanze inerti, ma anche simboli, tradizioni, abitudini legate al cibo
e fortemente radicate nelle relazioni affettive, sociali e collettive. Quindi, attinenti i nostri ricordi. Il detto “siamo quello che mangiamo” o “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” è una semplificazione di tutto questo. Mangiare, come è ben noto, è necessità, e come tale coinvolge molti aspetti della nostra vita. Il cibo, e il gusto che ne deriva, suscita in noi pensieri ed emozioni, siano essi positivi o negativi: quando, parlando di un dato “piatto” preparato, lo definiamo “buono” o “cattivo” e lo facciamo, soprattutto per la qualità degli ingredienti e per la preparazione, ma anche per le connessioni neurologiche che si generano tra quel gusto ed i nostri sentimenti, ed i nostri ricordi completamente inconsci. Le emozioni che suscitano quel dato piatto, in quel dato luogo, con le date persone accanto ad esso. Lo stretto legame tra cibo ed emozioni è certamente una visione olistica dell’essere umano, ed è di questo che parlerò . L’uomo, in questo caso, visto non solo come consumatore, cliente, commensale, m come “esperienza dipendente” individuale, un termine che ben illustra l’importanza della relazione tra cibo, mente e corpo. Fondamentalmente, siamo fatti un po’ come una cipolla, solo per rimanere in materia di cibo. Uno di questi strati, certamente il più importante perché è ciò che ci fa scegliere le cose o decidere le azioni, è rappresentato dalle nostre emozioni. Le emozioni, in inglese “e-motion energy in motion” o energia in movimento, hanno un peso importante sui nostri pensieri, comportamenti e azioni, ma anche sul nostro “sistema del corpo”.
Qual è il rapporto tra cibo ed emozioni? Il cibo, come già detto, ha una funzione biologica essenziale per il corpo. Dal cibo otteniamo ciò di cui abbiamo bisogno per mantenerci in vita, dagli zuccheri, dalle proteine, e anche dai tanto demonizzati grassi, che rappresentano non solo una fonte di energia ma anche il materiale per la crescita e la riparazione dei nostri tessuti. Mangiare è una delle più antiche azioni umane, possiamo certamente dire che il bisogno sorge con noi. Pensate, come già detto, al neonato: qual è il suo primo istinto se non succhiare, cioè attaccarsi al seno della madre? Il rapporto tra cibo ed emozioni, quindi, esiste e si
forma già nelle primissime fasi della vita e rimane per tutta l’esistenza.
Mangiare, però non ha solo lo scopo di poter soddisfare un bisogno fisiologico, è anche, direi soprattutto, e sempre più oggi, un’occasione di incontro, di comunicazione, di risposta al bisogno di cura, di scambio, di affetto. Quanto esiste dietro un piatto di cibo! A volte, però, il delicato equilibrio tra cibo ed emozioni viene alterato e la voglia di mangiare nasce come risposta ad un bisogno emotivo che, invece, richiederebbe un altro tipo di nutrimento. Emozionale, appunto. In questi casi la persona mangia anche quando il corpo non ne ha bisogno. Esistono, infatti, due tipi di Fame: corporea, che si innesca quando il corpo ha bisogno di
nutrienti, ed emozionale, che si sperimenta in presenza di rabbia, noia, stress solitudine, tensione, stanchezza, ansia o depressione. In questi casi, il cibo viene scambiato per una “droga” con cui placare emozioni sgradevoli, ottenere una gratificazione negata nell’ambiente emotivo o di lavoro,
combattere una delusione o un dolore, elaborare un vuoto emotivo. Ed è molto pericoloso. Mangiare, però, è anche una delle soluzioni più semplici per ottenere emozioni positive: facilmente accessibile e sempre disponibile, ma è vero che questo approccio corretto con il cibo può portare a patologie disturbi alimentari. L’umore trae certo beneficio dal cibo. Chi non ha mai provato la sensazione di una gioia dopo un pasto
abbondante, o un’emozione intrigante dopo aver assaggiato una spezia piccante? Stimola direttamente gli ormoni legati alla sessualità. I cambiamenti di umore innescati dal cibo sono un’esperienza più o meno provata da tutti. Quanto siamo irritabili quando abbiamo fame, mentre dopo un pasto soddisfacente diventiamo più calmi e spesso anche assonnati! Ricordiamo, infatti, che ogni alimento non solo fornisce nutrimento ed energia, ma influenza anche i neurotrasmettitori legati all’umore e influenza i nostri sensi, in particolare l’olfatto, il gusto e la vista. Studi sui meccanismi sensoriali, fisiologici e psicologici utilizzati da Gibson sottolineano che “il mangiare influenza l’umore e la predisposizione emotiva verso il mondo, riduce l’irritabilità e aumenta la calma e le sensazioni positive.” Ciò dipende da quanto il pasto è vicino alle abitudini di chi mangia in dimensioni e composizione. I pasti troppo piccoli o malsani per esempio, possono influenzare negativamente l’umore. Gli alimenti dolci che causano alti picchi di densità energetica e gli alimenti con una consistenza grassa, sono invece in grado di migliorare l’umore e ridurre gli effetti dello stress. Infatti, l’assunzione di cibo attiva i substrati neuronali che stimolano i sistemi oppioidergici legati alla percezione del dolore, ed i sistemi dopaminergici, legati alla valutazione edonistica, all’apprendimento e alla memoria. La scelta del cibo ha dipendenze culturali, e di conseguenza geografico-regionali, ma soprattutto è legata alla sfera emozionale. Compriamo ciò che ci fa sentire bene, ciò che ci dà emozione, ciò che ci gratifica. A volte si acquista per induzione, cioè guidata da un profumo o da un colore, anche da una certa musica.
Cibo ed emozioni
Il cibo, lo sappiamo bene occupa un ampio spazio nel processo emozionale, non solo perché è sempre stato un elemento di convivialità e condivisione, ma anche dal punto di vista, oserei dire, di guarigione dell’anima. È ormai accertato che la condivisione un pasto intorno ad un tavolo è un’abitudine praticata negli appuntamenti di lavoro o in incontri più intimi e confidenziali. L’associazione comunicazione-corpo è strettamente legata alle emozioni che è in grado di generatore. Varia, come giusto, per ciascuno di noi. Non siamo tutti uguali, e abbiamo caratteristiche molto diverse l’uno dall’altro, anche se riusciamo a trovare gusti comuni, non sempre abbiamo le stesse “sensazioni”.
I sapori associati ai ricordi
C’è chi preferisce il dolce, il salato, il piccante, il forte, il deciso e il più morbido, il più delicato. Ci sono studi nel settore che evidenziano chiaramente, per esempio, che il desiderio di sapori dolci è associato con il bisogno di tornare all’infanzia, e questo risale al momento dell’allattamento, dell’abbraccio materno di cui abbiamo dimenticato il calore ed il gusto, ma la nostra parte inconscia, quello dei ricordi, se lo ricorda! Così come la sensazione di serenità, dopo un pasto abbondante, che riempie lo stomaco e genera rilassatezza. Oltre ad un’emozione intrigante dopo aver assaggiato una spezia piccante. Si dice che stimoli gli ormoni legati alla sessualità, infatti. Chi non ha sperimentato cambiamenti d’umore innescati dal cibo? Un’esperienza provata da tutti. È necessario sapere, e tenere presente, infatti, che ogni alimento è composto da sostanze che non solo forniscono l’energia di cui abbiamo bisogno per vivere, fondamentali, ma influenzano anche i
neurotrasmettitori legati all’umore e influenzano i nostri sensi, in particolare l’olfatto, il gusto e la vista. I cibi dolci, ad esempio, causano picchi di alta densità energetica, mentre i cibi con una consistenza grassa
sono in grado di migliorare l’umore e ridurre gli effetti dello stress.
Mangiamo con la bocca, senza dubbio, ma prima di tutto lo facciamo con gli occhi, poi con le sensazioni olfattive e gustative. Sembra banale e semplicistico, ma alla fine ingerire cibo è solo una parte di un’abitudine meccanica, ma la parte finale di un processo emotivo. Quello che serve, però, oggi più che mai, è imparare il gusto, i sapori e il valore del tempo. E poi, ovviamente, cibo di buona qualità, sano e preparato con amore, perché tutto si trasmette, a partire dalla presentazione di un piatto. Se non si mette l’amore nel fare le cose, soprattutto in cucina, non si trasmette
l’energia positiva che serve a chi la assaggia, perché si possa alzare dal tavolo pienamente soddisfatto.